La Signora Sul Treno

La Signora Sul Treno

Era da un po’ che la vedevo, quando prendevo il treno la mattina.

Come attento osservatore di gambe femminili, possibilmente inguainate in collant, non potevo certo perdermela. Era una donna intorno ai 40 (ammetto il mio debole per le signore di quell’età) che mi deliziava quasi regolarmente con dei tailleur seri ma che io trovavo piuttosto sexy, gonne sopra il ginocchio e scarpe decolletè nere o marroni col tacco. Quello che però mi esaltava era la scelta attenta dei collant, abbinati sempre all’abito e alle scarpe. Una vasta gamma di colori, dal nero al bianco passando per il grigio, il blu, il visone, si era offerto alla mia attenta osservazione soltanto nell’ultimo mese. La sua fugace apparizione della mattina era diventata un punto cruciale della mia giornata, le rare volte che non riuscivo ad incontrarla o le ancor più rare volte in cui indossava pantaloni equivalevano per me ad una giornata negativa, peggio di un segno meno al NASDAQ. Non le avevo mai rivolto la parola, ma ero certo che lei avesse notato l’attenzione che io le rivolgevo.

Per un po’ di giorni ero riuscito a salire sullo stesso vagone, e immediatamente dietro di lei, in modo da vederla issarsi sul treno e apprezzare le sue gambe in tutto il loro splendore. Era solo un attimo fugace, un millisecondo forse, perché la calca degli altri pendolari, insensibili allo spettacolo che si svolgeva sotto i loro occhi, mi impediva con la loro fretta di godermi la visione fino in fondo.

Lei di questo si era accorta, lo sapevo. All’inizio mi aveva mollato un paio di occhiatacce, poi non ci aveva più fatto caso, rendendosi conto che ero abbastanza innocuo.

Quel giorno portava un completo beige, sotto l’impermeabile lasciato strategicamente aperto, scarpe dello stesso colore e calze velatissime chiare. Molto carina, come sempre del resto.

Quel giorno dovevo rientrare prima dal lavoro e nel primo pomeriggio ero già in stazione a riprendere il treno. Vagavo tra scompartimenti semivuoti in cerca di una improbabile apparizione di qualche ragazza in gonna, quando la vidi. Seduta con aria vagamente annoiata in uno scompartimento vuoto, guardando fuori dalla finestra. Non pensai neanche a quello che stavo facendo, entrai al volo nello scompartimento come seguendo un istinto. Mi sedetti nelle sedie di fronte, appena spostato alla sua sinistra. Finsi indifferenza per un po’, poi finalmente abbassai lo sguardo per godermi un po’ di spettacolo. Fui veramente sorpreso (e non piacevolmente) quando notai che le sue gambe erano nude, ovviamente si era levata le calze durante la giornata. Le sue gambe erano sempre pregevoli, ma pallide e senza quell’impagabile lucentezza che non avevo mancato di notare quella stessa mattina. Alzando lo sguardo, profondamente deluso, incontrai i suoi occhi per un attimo.

La sua voce mi arrivò totalmente a sorpresa: “Le ho rotte.”

“Prego?”

“Le calze. Le ho rotte. Non era quello che si stava chiedendo, come mai non le ho più addosso?”

Ero stupefatto, imbarazzatissimo ed eccitato a sentire la sua voce… “A dire il vero, sì.”

“Non porterei mai scarpe chiuse senza le calze” proseguì come parlando a sè stessa. “E purtroppo oggi, contrariamente al solito, non mi ero portata neanche un paio di ricambio nella borsa.”

Il treno si era intanto mosso dalla stazione, correva veloce come il mio respiro.
“Non avevo dubbi. Ho già avuto modo di notare il suo stile.” (E le sue gambe, avrei dovuto aggiungere).

Lei sembrava non ascoltarmi. Sempre in maniera assente, prese in mano la borsetta e aggiunse: “Tra l’altro non le ho ancora buttate via… cosa me le sarò messe in borsa a fare… ”

“Potrei averle io?” La mia voce sorprese anche me stesso. Adesso pensa che sia matto, mi dissi. Minimo si alza e se ne va.

“Come?”

“Se le deve buttare, mi piacerebbe averle io” dissi con voce incerta.

“E cosa te ne faresti, scusa?”

“Bè, di preciso non saprei… ”

“Le indosseresti tu?”

“Ma, no… oddio, forse…” Stavo arrossendo…

Me le gettò dal suo sedile con un rapido gesto. Mi trovai in mano i suoi collant arrotolati e morbidi al tatto.

“Contento tu… ”

Cominciai a srotolarli, lentamente.

“Eh no scusa, però adesso mettili via”.

“Ah certo”.

“Tra l’altro noterai che la smagliatura è enorme… parte dalla mutandina dietro e arriva quasi al ginocchio. Me la sono procurata sulla scrivania del mio ufficio, sotto un mio collega un po’ troppo irruente… Questo però non dirlo a mio marito…”

Che troia, non potei fare a meno di pensare. La guardai sorridere sorniona. Mi stava prendendo in giro, ovvio… o forse no? Il gioco però mi eccitava parecchio, non mi era difficile vederla farsi toccare sotto la gonna, farsi prendere su una scrivania… Quelle che sembrano signore di classe sono alla fine le più puttane di
tutte, mi dicevo…

Continuò a prendermi in giro, a raccontare di come nel suo ufficio fosse al centro dell’attenzione dei colleghi. Erano bugie, mi ripetevo, ma arrivati alla nostra stazione ero in sua balia, ubriaco dei suoi racconti.

“Mi sento in debito per le calze” le sussurrai. “Se vuole, cioè se vuoi, mi piacerebbe comprartene un paio. C’è un negozio di Calzedonia appena di là dalla piazza”.
Si girò verso di me, considerando rapidamente la mia proposta.
“Ok, mi va. Solo un paio, è tutto quello che mi merito?”
“Ma no, tutto quello che vuoi”.
Nel negozio (grazie al cielo) non c’erano clienti. Lei scelse tre paia di collant velati Fascino della Sisi, visone e nero oltre al beige chiaro uguale a quello che aveva rotto. Finse di non conoscere bene la marca, si fece aprire un pacchetto e chiese a me di toccare il nylon e di darle il mio parere.

“Sa, è importante che piacciano anche a lui” spiegò alla commessa sorridendo. La ragazza fece un sorrisino, che si trasformò in un risolino più ironico nel vedere il mio ovvio imbarazzo.

“Paghi tu, vero tesoro?” Poi, di nuovo rivolta alla commessa:

“Insomma, serviranno a qualcosa gli uomini… ” Si stava divertendo un mondo. Io sarei sprofondato, ma nello stesso tempo mi piaceva da impazzire essere trattato così. Usciti dal negozio mi sorrise: “Scusami, sto facendo un po’ la
stronza, vero?”

“Ma no, figurati”.

Qualche passo, poi si girò di nuovo verso di me, gli occhi scintillanti di chi ha avuto un’idea formidabile. “Ti piacerebbe vedermene indossare un paio?”.

“Veramente? A casa tua?”

“No, non dicevo a casa mia. Però devo passare dal Coin qui vicino a ritirare un vestito che ho fatto aggiustare. Potrei provare qualcos’altro e intanto indossare le calze per te in un camerino”.
Mi sembrava che gli occhi mi schizzassero già dalle orbite…
“Mi sembra fantastico… ” Riuscii finalmente a dire.
In due minuti eravamo al Coin, che nella mia città è solo poco più grande di un negozio normale, anche se su due piani. Due commesse stavano chiacchierando alla cassa vicino all’entrata, con niente da fare prima dell’ora di punta che sarebbe arrivata solo molto più tardi.
“Buongiorno signora, è venuta a prendere il suo abito?”
“Sì, è pronto?”
La commessa sparì nel retrobottega e ritornò in un minuto con un tailleur grigio in un cellophane.
“Deve riprovarlo, signora?”
“No, sono sicura che va bene. Però do un occhiata in giro se non le spiace”
“Si accomodi pure, signora. Mi chiami se ha bisogno di qualcosa”.
E ripartì a confabulare con l’altra commessa. Perfetto. Ci dirigemmo ai camerini del secondo piano, col mio cuore che batteva da impazzire.
Lei entrò, e io a ruota. Avvicinai il viso ai suoi capelli, respirando il suo profumo, poi cercai di baciarla.
“Ah-ah, questo non era in programma” mi sussurrò, dolce, ma decisa.
“Ok, scusa”.
“Non perdiamo tempo.” Tirò fuori il pacchetto, lo aprì e sciorinò i collant visone in tutto il loro splendore. Mi girò le spalle, che scosse indicandomi di levarle l’impermeabile. Poi si levò la gonna, che appese con delicatezza al gancio.
Infine cominciò. Essenziale, veloce, ma estremamente aggraziata, indossò il collant. Se lo aggiustò alla vita, si ripassò velocemente le mani sulle cosce eliminando ogni piega, poi si ri-infilò nelle scarpe… non stavo capendo più niente.
Me lo tirai fuori, cominciando a masturbarmi vigorosamente. Lei mi sorrise, si accostò e mi sfregò un fianco della sua coscia incollantata sul mio membro, sfiorandolo appena anche con la sua mano. Il contatto del nylon sul mio glande mi sembrò divino… tanto da farmi perdere il controllo. Lei si tirò indietro un attimo prima che io venissi, lasciando che mi imbrattassi i calzoni.
“Umm… ti piacciono proprio tanto i collant, vero?” mi sussurrò in un orecchio.
“Sì… Da morire… ” Riuscii appena a dire.
Cercai ancora di baciarla, o di dire qualcosa, non ricordo, ma lei mi mise un dito sulle labbra.
“Aspetta… forse viene qualcuno. Resta qui.”
Si infilò velocemente la gonna, prese l’impermeabile ed uscì dal camerino. La sentii scendere le scale, per cercare la commessa. Nel frattempo cercai in qualche modo di ricompormi. La chiazza sui calzoni era abbastanza evidente, ma si poteva in qualche modo coprire con la giacca. Mi chinai a levare le chiazze sul pavimento
col mio fazzoletto. Il peggio era l’odore…
Uscii velocemente a mia volta, mi allontanai dal camerino. Non la sentivo più. Mi diressi alle scale, cominciai a guardarmi in giro per ritrovarla. A salire le scale era invece una delle commesse.
Sorrisi nervosamente, allungando il passo. Al piano inferiore mi rivolsi all’altra commessa.
“La signora che era con me?”
“Sua moglie è uscita… Non aveva un impegno?”
Uscita? Scappata via così?
“Ah certo, naturalmente… grazie e arrivederci”
“Signore un momento…” sorridendo, ma mettendosi davanti alla porta. “Ci sarebbe il vestito da regolare”
“Come?”
“Sì, la signora non l’aveva ancora pagato… ”
Maledetta, pensai…
“E il vestito… ”
“Quello l’ha già preso sua moglie”
“E già, chiaro… ”
Avevo un odore di sperma fortissimo nelle narici e stavo cominciando a sudare… .
“Sono 450 Euro”.
Ok, basta che facciamo in fretta, mi ripetevo…
“Carta di credito ok?”
“Certo signore”
Almeno potevo appoggiarmi alla cassa, coprire la macchia in qualche modo. La commessa sembrava tirar tardi apposta, la sua lentezza era talmente esasperante…

La sua collega scese dal piano superiore, le rivolse un rapido cenno, come dire Ok, tutto a posto. Ovvio, pensavo, si sono accorte che c’era qualcosa di strano e hanno pensato che stessimo portandoci via qualcosa. La macchinetta delle carte di credito si decise finalmente a cliccare, stampando l’autorizzazione.
“Tutto a posto, signore. Arrivederci e grazie”.
Tutto a posto un cazzo, pensai. Mi gettai fuori dal negozio, guardando a destra e sinistra. Sparita. Non mi scappa, mi dissi, la becco domani alla stazione.
Ed era là, tranquilla come al solito, il giorno dopo. Mi feci largo nella folla verso di lei. Indossava lo stesso completo beige, con le calze visone che mi avevano così tanto eccitato nel camerino.
Mi sorrise e si mosse verso di me:
“Non fare scenate, ti prego”.
“Ridammi i miei soldi” sibilai appena tra i denti.
“Mi sembra di essermeli meritati… non credi?” mi passava una mano sul petto, sopra la giacca. Restai a guardarla mentre arrivava il treno, coprendo ogni mia possibile risposta. Non sapevo se darle una sberla o scoppiare a ridere. La porta del vagone si arrestò non lontano da noi.
“Stammi bene, bello” mi disse con un buffetto alla guancia.
Restai a guardarla salire sul treno, girarsi verso di me e schiacciarmi l’occhio. Le sue gambe erano sempre bellissime.

“Stronza” pensai “tanto ti ribecco”.

 (storia di Luca Riva)

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